Poeti e Sognatori

...Sembra uno spazio fuori dal mondo, ma non è così.
Il più solido piacere di questa vita, è il il piacere vano delle illusioni.

Giacomo Leopardi
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 quam minimum credula postero... di Alessandra Mazzucco

Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Alessandra Mazzucco (del 17/04/2008 @ 21:45:28, in I Sognatori, linkato 9194 volte)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

"L'amore è la vita, è la cosa principale. Dall'amore si dispiegano i versi, e le azioni, e tutto il resto. L'amore è il cuore di tutte le cose... Se il cuore interrompe il suo lavoro, anche tutto il resto si atrofizza, diventa superfluo, inutile. Ma se funziona non può non manifestarsi in ogni cosa. Senza di te (non senza di te "nella lontananza", interiormente senza di te) io cesso di agire."  
E' il 1923, il cuore che non deve cessare di agire appartiene a Vladimir Majakovskij, lei, l'amore che anima tutte le cose, si chiama Lili Brik.
Si conoscono dal 1915, quando, nella "data più felice" della sua vita, il poeta futurista declama i suoi versi di fronte ad una platea d'eccezione: i coniugi Osip e Lili Brik.  
Osip è un giurista, ma commercia in coralli per la ditta di famiglia; Lili è colta e curiosa; entrambi amano circondarsi di poeti e letterati e anche per loro quella "data" sarà l'inizio di una nuova vita: da quel giorno le loro tre esistenze saranno intrecciate fino alla fine.    
Majakovskij si innamora furiosamente di Lili, tanto che per i primi anni lei vive questa passione quasi come una sorta di aggressione che non le lascia respiro; nello stesso tempo Osip nutre per il poeta una sconfinata ammirazione che lo spinge a pubblicare a proprie spese i suoi primi poemi e ad accettare senza alcuna riserva la relazione con la moglie; così, nel 1918, diventa per loro una scelta naturale quella di vivere tutti e tre sotto lo stesso tetto.  
Lili Brik ha sempre ribadito la legittimità di una simile convivenza: nelle sue memorie afferma chiaramente: "Io e Osja non avemmo mai più rapporti intimi, così che tutti i pettegolezzi - sull'amore "a tre", sul "triangolo" e così via - non assomigliano nemmeno lontanamente a ciò che è stato."  
Come è facile immaginare le "voci" non si sono risparmiate: qualcuno ha visto questo legame come una disgustosa forma di decadenza borghese, altri l'hanno quasi idealizzato come un coraggioso "amore assoluto", una testimonianza pratica dell'eternità dell'amore. In effetti la relazione tra Majakovskij e Lili terminò nel 1930, con il suicidio del poeta. Furono la complicità, il fortissimo senso dell'amicizia e il sentimento travolgente che coltivarono per anni con impegno, assecondando le sue trasformazioni, a permettere loro di amarsi per tutta la vita, che, in ogni caso, non fu priva di dolori, di separazioni e di tradimenti.  
Per comprendere gli avvenimenti, l'affascinante personalità di Majakovskij e la significativa influenza che Lili Brik ebbe nella sua esistenza e quindi nelle sue opere, la casa editrice Neri Pozza ha pubblicato "L'amore è il cuore di tutte le cose", la raccolta della fitta corrispondenza che tra il 1915 e il 1930 si scambiarono Vladimir, Lili e Osip. Sono lettere tenere, affettuose e spontanee che esprimono i sentimenti, i pensieri e le difficoltà dei personaggi, ma anche rispecchiano la quotidianità del paese e il suo travaglio politico. 
Tra le poesie di Majakovskij ce n'è una che più di tutte è rappresentativa dell'esaltazione dei suoi sentimenti, il poeta la intitola: 
 
Conclusione       
 
Niente cancellerà via l'amore,
nè i litigi
nè i chilometri.
E' meditato,
provato,
controllato.
Alzando solennemente i versi, dita di righe,
lo giuro:
amo
d'un amore immutabile e fedele.
 
Vladimir Majakovskij

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Di Alessandra Mazzucco (del 17/04/2008 @ 14:06:02, in Sognatori tra i pennelli, linkato 3622 volte)

Il 23 febbraio 1887 il borgo medioevale di Bussana, situato sulle colline a pochi chilometri da Sanremo, venne raggiunto dalle terrificanti scosse di un terremoto.
Erano le 6,20 e molti si trovavano all'interno della chiesa del paese. Ebbero appena il tempo di rendersi conto della catastrofe che si stava abbattendo su di loro, che in pochi attimi il tetto crollò, travolgendoli. La violenza del sisma fu tale da distruggere la maggior parte delle case, imprigionando ed uccidendo un centinaio di persone.  
Il responso della Commissione che si occupò di verifcare l'entità dei danni fu drammatica: le abitazioni furono giudicate inagibili e ciò che del villaggio ancora non era crollato, rischiava di cedere da un momento all'altro. Malgrado le proteste di chi avrebbe voluto ricostruire il proprio mondo là, nel punto in cui si era fermato, ai sopravvissuti fu proibito di rientrare nel villaggio e promesso un borgo nuovo di cui si iniziò subito la costruzione. Fu così, che nel giro di pochi anni e qualche chilometro più in giù, nacque Bussana "nuova".  
Il vecchio borgo ferito iniziò la sua inesorabile decadenza. La rigogliosa vegetazione ligure invase le abitazioni abbandonate, pioggia e sole intaccarono le mura precarie e per più di mezzo secolo le case sventrate in cima alla collina rimasero tragico monumento al dolore.   
Il 1960 portò con sè un vento nuovo: i sogni audaci di un pittore torinese, Clizia. Sedotto dal fascino delle antiche pietre del borgo diroccato ebbe un'ispirazione folle: costruire tra le macerie il Villaggio Internazionale degli Artisti. L'idea fu accolta con entusiasmo dal pittore, Vanni Giuffrè e da un poeta, Giovanni Fronte, pionieri della nuova comunità che in poco tempo attirò un gran numero di artisti. L'inizio fu duro, ma animato da una forte determinazione. L'esperimento di una "comune" non era una novità in campo artistico, basti pensare al Bateau  Lavoir, nome dato al cadente edificio che vide nascere il cubismo, ma a Bussana non esistevano più reti fognarie, nè impianti idraulici: l'acqua era da trasportare a mano attraverso una lunga strada e, naturalmente, non c'era energia elettrica. Benchè Clizia avesse provato a stilare uno Statuto, la vita comunitaria, già difficile da realizzare in condizioni normali, veniva messa a repentaglio da difficoltà di carattere pratico, inoltre, il timore incombente di un ordine di sgombero, non contribuiva certo a rasserenare gli animi...  
Qualcuno se ne andò, ma c'era chi arrivava, tanto che il Villaggio degli Artisti divenne una favolosa realtà. Le case vennero ricostruite seguendo lo stile originale e i colori delle tele dei pittori, appoggiate ai muri o appena scorte tra le finestre, portarono una luce nuova e suggestiva al vecchio borgo. L'artigianato e la curiosità dei turisti divennero fonte di sostentamento per una comunità formata da spiriti liberi, alcuni itineranti, altri, come Guido Giordano, detto "da Bussana", pittore che lasciò il suo impiego al ministero per vivere nel Villaggio fino all'ultimo giorno, ben radicati ad un sogno diventato reale. Tra il 1974 e il 1977 agli abitanti fu riconosciuto il diritto di residenza e finalmente arrivarono anche l'acqua e l'elettricità. Ma la storia di questo borgo è densa di avvenimenti, di pacifiche lotte e di personaggi davvero straordinari. Maurizio Falcone, musicista e compositore, è uno di loro. Racconta e si racconta nel notevole sito che ha realizzato sul Villaggio e su tutte le sue vicissitudini non ancora concluse.    
Bussana vecchia è oggi un borgo conosciuto e visitato da molti ospiti. I suoi vicoli si sono arricchiti di nuovi laboratori artigianali e di punti di ristoro che non intaccano l'antica suggestione medioevale. Artisti imprevedibili si incontrano, magari spariscono, per poi farsi rivedere l'anno successivo... è un luogo remoto, ma sempre inconsueto. L'unica sensazione che non cambia da una visita all'altra, si chiama libertà. 
 
Dipinto di Guido da Bussana

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Di Alessandra Mazzucco (del 16/04/2008 @ 22:35:14, in Sguardi beffardi, linkato 6180 volte)

Se è vero che la poesia deve accompagnare ogni momento, Bukowski ci regala versi per quando la vita appare troppo faticosa e complicata. Sono parole beffarde e irriverenti, ma profondamente oneste. Parlano di lotta, di resistenza, di forza e di coraggio, come in una guerra, ma il fronte del combattimento non è una trincea a cielo aperto, è la comune e banale quotidianità. Non sono armi da fuoco a minacciare, ma malvagità e tradimenti. Non si rischia la morte fisica, ma una vita appassita che può diventare peggio della morte.
Parola d'ordine: resistere. Con perseveranza, impegno, un poco di fortuna e risate. Tante.
                                          Infine, assaporare con orgoglio la vittoria.
 
 
Si impara a resistere perché a non resistere
si mette il mondo nelle loro mani
e loro sono meno di
zero.

resistere significa semplicemente tirare fuori i coglioni
e meno sono le chance
più dolce è la
vittoria.

si dice che si deve lottare per la propria
libertà.
questo lo so.
solo che non ho lottato contro i giapponesi, gli italiani, i tedeschi
né i russi
per la mia libertà.
ho lottato contro gli americani: i genitori, i cortili di scuola,
i capi, le donne di strada, gli amici, il sistema stesso.

non c’è fine, è ovvio, alla lotta.
nuove avversità arrivano come un treno in orario.
forse non sarà più il mattino del doposbronza né
la catena di montaggio in fabbrica
ma la perfidia, l’inganno e la falsa speranza li
sostituiscono.
credo che siamo sotto esame anche mentre
dormiamo, e spesso diventa tutto così letale
che possiamo solo esorcizzarlo a risate.

per resistere ci vuole un po’ di fortuna, un po’ di sapienza
e un ragionevole senso dell’umorismo
perché chi ha freddo ha ancora più freddo,
chi è forte è ancora più forte,
chi era coraggioso è meno coraggioso e
noi possiamo soltanto
meditare sul fatto che
l’elefante se ne sta silenzioso nella foresta in attesa di morire,
che gli uomini falliscono ripetutamente ripetutamente
ripetutamente,
che il prete dimentica le preghiere,
che l’amore può trasformarsi in follia,
o che la pioggia fredda infradicia la tomba
di Mozart.
è alla faccia di queste
e di così tante altre cose che
alla fine si impara a
resistere.
 
Charles Bukowski 
Foto: Paulo César
 

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Di Alessandra Mazzucco (del 14/04/2008 @ 14:39:03, in Tra lacrime e sorrisi, linkato 2648 volte)

 

 

 

 

 

Definire l'insonnia "tormenta soave" è quasi offensivo per chi di notte non riesce a dormire, ma lo vorrebbe tanto... Per fortuna ci sono i poeti a prestarci il loro sguardo quando il nostro è troppo fisso. Rubén Darío centra il punto dolente: non si può dormire, però si sogna. E in genere questi "sogni" notturni ad occhi aperti non sono bellissimi: portano tutte le ansie e i timori che durante il giorno si è riusciti a tenere lontano.E' illuminante la figura di Amleto sul banco anatomico, perchè è proprio quel che succede: una sorta di vivisezione di se stessi che non sempre è così opportuna. Quello che invece spesso si dimentica durante le notti bianche, è l'arrivo dell'alba: è all'alba che si deve pensare. La notte, per quanto buia, finirà.     
 
Silenzio della notte, doloroso
silenzio notturno...
Perchè l'anima trema a questo modo?
Odo il rombo
del mio sangue:
dentro il mio cranio passa una tormenta
soave. L'insonnia!
E non si può dormire. E tuttavia
si sogna.
E sul banco anatomico se stesso
uno seziona, ed è il suo proprio Amleto.
Sciogliere la tristezza
entro un vino notturno,
nella coppa preziosa delle tenebre.
E mi domando: Quando verrà l'alba?
S'è richiusa una porta...
E' passato un viandante...
Tre rintocchi alla torre... Oh, che sia lei? 
 
Silencio de la noche, doloroso silencio
nocturno... Por qué el alma tiembla de tal manera ?
Oigo el zumbido de mi sangre,
dentro de mi cráneo pasa una suave tormenta.
i Imsomnio ! No poder dormir, y, sin embargo,
sonar. Ser la auto-pieza
de disección espiritual, i el auto-Hamlet!                       
Diluir mi tristeza
en un vino de noche
en el maravilloso cristal de las tinieblas...
Y me digo: ¿ a qué hora vendrá el alba ?              
Se ha cerrado una puerta...
Ha passado un transeúnte...  
Ha dado el reloj tres horas...i Si será Ella !...
  
 
Rubén Darío  
 
Dipinto: "Overflow" A.Whyeth
 

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Di Alessandra Mazzucco (del 14/04/2008 @ 14:30:18, in I Poeti, linkato 2492 volte)

Un suggestivo brano musicale, racconta di un pescatore che scopre un' isola nascosta e meravigliosa. Torna verso casa convinto di poterla un giorno rivedere, ma non riuscirà più a trovare la strada: l'isola sarà perduta per sempre... A Lee Masters capitò proprio così: inseguì la poesia per tutta la vita e la trovò. Scrisse il suo capolavoro "Antologia di Spoon River" in pochi mesi, a quarantacinque anni, ottenendo un successo clamoroso, ma nonostante l'impegno e le numerose produzioni successive, non riuscì più a raggiungere lo stesso prodigio di parole e ispirazioni. Nel suo libro di memorie il figlio Hilary ricorda come a volte sorprendesse il padre "mentre leggeva e rileggeva le sue poesie e le sue pagine di prosa, quasi cercasse di scoprire come aveva fatto a scriverle"... Lee Masters in effetti era un avvocato, almeno durante il giorno, perchè la notte era dedicata alla poesia e la passione per la letteratura lo spinse fin da ragazzo a studiare da autodidatta, scrivere e leggere di tutto. Il suo grande momento giunse quando il direttore di un noto giornale gli consigliò un libro di epitaffi greci, l' Antologia Palatina, ma anche grazie ad una visita della madre con cui rievocò l'infanzia e l'adolescenza vissute tra le praterie del Mid-West. 
I personaggi descritti dal poeta sono concreti, hanno voci con cui si entra facilmente in empatia perchè abbracciano ogni sfumatura di sentimento, dal più nobile al più miserabile, in una serie di rivelazioni e di intrecci che a mano a mano che si scoprono sorprendono e colpiscono con disarmante umanità.   
Malgrado l' entusiasmo con cui anche in Europa venne accolta l' Antologia di Spoon River, il suo autore negli ultimi anni riuscì a sopravvivere grazie ai prestiti di pochi amici e a qualche conferenza. Si spense nel 1950, sulla sua lapide sono incisi questi versi:

 
"Buoni amici andiamo nei campi.
Dopo un po' di passeggio col vostro permesso
vorrei dormire. Non c'è cosa più dolce
nè più benigno destino che il sonno.
Non sono che il sogno di un sonno benigno.
Andiamo a passeggio e ascoltiamo l'allodola".  
I suoi versi.

I suoi versi.

 

I suoi versi.

 

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