Poeta scomodo questo russo ribelle e combattivo, animato da una costante inquietudine che troverà pace solo nel gesto estremo del suicidio.
Majakovskij è stato un fervente sostenitore di quella rivoluzione che, tra gli altri, tormentò ed uccise molti poeti e fu anche uno dei firmatari della dichiarazione dei futuristi russi, in cui si sollecitava l'eliminazione della letteratura classica, considerata inutile zavorra del "battello della modernità".
Oggi, noi lettori possiamo scegliere "come" leggere la poesia: possiamo decidere di tenere in conto la cornice storica, politica e sociale di un autore, le sue inclinazioni sessuali, le sue convinzioni religiose... oppure, come si propongono queste pagine, possiamo prescindere da tali contesti e affidarci semplicemente alle sensazioni che l'anima del poeta trasmette in versi alla nostra anima.Majakovskij, uomo tormentato e in perenne ricerca di qualcosa che non troverà mai, grida la sua solitudine, la sua fame d'amore, gli attimi di gioia e la speranza con parole appassionate e vere, che meritano di essere ascoltate
Un giornalista così così, che diventa grande autore. Un tipo un po' sopra le righe, certo, come tutti gli artisti, ma lui... un po' più su. E' a Walt Whitman e al suo contagioso entusiasmo che dedico il primo intervento alla voce poeti".
Che cos'ha di tanto speciale quest'uomo, così lontano da noi, vissuto in America in pieno 1800? E' un poeta esagerato, a tratti esaltato, innamorato della vita e della natura in ogni sua manifestazione, dell'umanità. E' impulsivo, travolge come un fiume in piena, e per questa sua esuberanza, risulta simpatico. Scrisse un'unica raccolta di poesie, "Foglie d'erba" che in quarant'anni tenne costantemente aggiornata fino alla stesura definitiva del 1892, anno della sua morte. Whitman inizia il libro cantando se stesso e subito viene da pensare che sia un po' troppo borioso, ma basta voltare pagina per accorgersi che l'amore ed il rispetto che nutre per sè, viene esteso ad ogni essere vivente. Si sente parte integrante della natura e in perfetta armonia con essa. Il bello delle sue liriche è il risalto che riesce a dare all'uomo, come all'animale, o al filo d'erba, descrivendo i suoi sentimenti con un linguaggio libero dalla costrizione di strutture poetiche, un linguaggio infervorato, a volte crudo, che permette di comprendere esattamente ciò che il poeta intende trasmettere. Non ebbe vita facile Whitman, dopo la pubblicazione dei suoi versi... diede scandalo per l'omosessualità che ne traspariva. Venne addirittura licenziato perchè il suo datore di lavoro trovò una copia di "Foglie d'eba" all'interno di un cassetto. Eppure, è un poeta gioioso. Le sue parole sono colme di fisicità, ma anche di grandezza spirituale e mai patetiche, neanche quando parla della morte. Parole nell'animo di ogni uomo, a cui Whitman riesce a dare voce:
"Lettore, in te palpita la vita, tu fremi d'orgoglio e amore: sei come me, lettore. Ed io perciò ti dedico i miei canti."
"THOU reader throbbest life and pride and love the same as I, Therefore for thee the following chants"
Dopo ventidue anni di richieste e in cambio una cifra impressionante, Gabriel Garcia Marquez ha ceduto i diritti di uno dei suoi capolavori: "L'amore ai tempi del colera" è diventato un film. Giunto da poco sugli schermi italiani, ha tutte le carte in regola per sfondare i botteghini: il regista è Mike Newell, tanto per intenderci, lo stesso di "Quattro matrimoni e un funerale" e di "Harry Potter e il calice di fuoco"; nel cast internazionale la parte dei protagonisti è stata affidata a Giovanna Mezzogiorno e a Javier Bardem; i "ciak" si sono susseguiti tra le suggestive strade coloniali di Cartagena de Indias, in Colombia, Patrimonio dell'Umanità Unesco... Ma... prima che tutto accada, prima di scoprire che Florentino Ariza e Fermina Daza hanno i bellissimi visi di due bravi attori, provate a immaginarli con gli occhi che vi regala Marquez, seguite la loro storia pazzesca attraverso le descrizioni, i dialoghi, i pensieri che il grande scrittore ha pensato per loro: leggete il libro se non l'avete ancora fatto o rileggetelo perchè è meraviglioso.
Quando uscì, nel 1985, chi si aspettava un romanzo sulle tracce di "Cent'anni di solitudine" rimase deluso: Marquez, il premio Nobel, aveva scritto un libro d'amore, una sorta di assurdo polpettone sentimentale... Eppure fu proprio quello staccarsi completamente dalla saga dei Buendìa, quel "parlare d'amore" a decretarne il successo.
L'amore di Florentino Ariza per Fermina Daza nasce quando sono poco più che bambini, ma viene ostacolato dal padre della ragazza che la costringe a sposare un altro. Florentino però non si arrende e decide di aspettare. Trascorre una vita intensa con la fiducia incrollabile, paziente, appassionata che contraddistingue gli innamorati. Viaggia, lavora, incontra altre donne, ma Fermina resta il sogno da raggiungere, giorno dopo giorno, anno dopo anno... La narrazione di Marquez non è affatto stucchevole e melensa, è anzi, a tratti, carica di ironia e ricca di significati profondi, chiara ed incisiva. L'amore è per lui un sentimento che esiste "in qualsiasi tempo e in qualsiasi parte, ma tanto più intenso quanto più vicino alla morte".
Ma quanto può durare? Ecco la risposta:
"E fino a quando crede che possiamo contnuare con questo andirivieni del cazzo?" gli domandò.
Florentino Ariza aveva la risposta pronta da cinquantatrè anni, sette mesi e undici giorni, notti comprese.
"Per tutta la vita" disse.
Torino, 11 maggio 2007
Alla Fiera del Libro si è svolta un'interessante conversazione tra Angelo Branduardi e Massimo Bernardini:
FUTURO ANTICO "ALLE SORGENTI DELLA MUSICA"
La musica, prima della parola. Così Angelo ha aperto la custodia del suo violino e ha riempito di note lo spazio della Fiera dedicato agli artisti.
"Cominciamo bene" ha detto qualcuno, e in tanti, come ad un richiamo, si sono fermati ad ascoltare.
Quando poi si è seduto per chiacchierare con Bernardini, giornalista della Rai, alle loro spalle è comparso l'ormai famoso quadro di Tiziano, Concerto Campestre, che ha dato il via ad un interessante e divertente scambio di battute. Angelo ha ribadito la sua estrema soddisfazione nel vedersi in un dipinto del '500 e ha affermato che probababilmente ha "ammorbato" generazioni, non solo negli ultimi tempi, ma nei secoli
Insieme hanno analizzato il dipinto cercando di immaginare cosa si stiano dicendo i due musicisti rappresentati: sono nate ipotesi "spirituali" del tipo: -Quale melodia stai suonando?- E "profane" come: -Ma queste due ci stanno?- Riferito alle fanciulle che completano il quadro. Questo è servito ad introdurre l'origine della musica: il congiungersi di sacro e profano sono una delle caratteristiche principali di questa forma d'arte. Angelo ha parlato degli sciamani, i primi musicisti nella storia dell'uomo e della "forma", la parola, le tecniche, i virtuosismi... Quando si sono sviluppate le forme è iniziato il grande progresso della musica occidentale e, come conseguenza, la fine della cultura popolare.
Bernardini ha sottolineato alcune caratteristiche di Branduardi, contrapponendo il suo stile a quello di altri artisti: il fatto che lui, al contrario degli altri cantautori, non parli di se stesso, ma scriva musica "su commissione", come nel caso dell'Infinitamente Piccolo o componga musica sui testi di Dante, Yeats, Esenin... e che il suo successo sia internazionale.
Angelo ha risposto così: "Molti colleghi partono dalle parole. Io lascio fluire la mia creatività con disciplina e riverso con dignità le mie "viscere". Non ho mai voluto seccare la gente con le mie storie d'amore. Mi sono impossessato di testi altrui perchè volevo essere loro, perchè il loro modo di dire, in quelle poesie, significava tutto il mondo che avevo dentro e non sarei mai stato capace di esprimere. Una poesia è già forma musicale, però questa è la teoria io sono passato alla pratica e non me ne pento. Sono stato di volta in volta Yeats, Dante, Francesco d'Assisi e tutti gli altri che ho voluto incarnare. Gli altri seguono un'altra strada. E' una via diversa, io non sono per tutti. Non interpreto ciò che è, non mi interessa, io interpreto la realtà come vorrei che fosse. Quello che io vedo al di là del muro, c'è chi capisce e chi no. Un artista non può essere uomo per tutte le stagioni, quella è la pizza."
E ha infine spiegato il suo successo internazionale facendo un paragone con Eros Ramazzotti: due italiani completamente diversi, uno amato per l'arte del "bel canto", l'altro perchè nell'immaginario incarna l'uomo rinascimentale, quello del quadro per cui la lingua passa in secondo piano. Pur avendo cantato in francese, inglese, tedesco, non sono importanti le parole: è la musica che conta, l'unica capace ad abbattere le barriere linguistiche.
Insomma: come Branduardi c'è solo Branduardi e, come l'aglio, c'è chi lo ama e c'è chi lo odia. Siamo in tanti ad amarlo e lui lo sa
"Passions lives here" e guardavamo scettici gli stendardi rossi che ce lo ricordavano, mormorando appena un unico pensiero: "Speriamo vada tutto bene..." Poi è successo: -3, -2... e la passione, contagiosa come una risata, è scoppiata.
I cantieri aperti da mesi sono spariti, alcuni nel giro di una notte, e sulle strade si sono improvvisamente materializzati Neve e Gliz. Il passaggio di una lingua di fuoco venuta da lontano ha elettrizzato sciami di bambini e arrossato di imbarazzanti lacrime gli occhi degli adulti intorno a loro.
Quando la lingua di fuoco, in un crescendo di meraviglia e batticuore, è diventata un braciere svettante contro il cielo, beh, forse è stato allora che abbiamo capito "la passione" e che ci eravamo dentro fino al collo.
E' spuntata una bandiera alla finestra. Poi un' altra, un' altra ancora... e quante finestre tricolori!
Piazza S.Carlo si è ricordata di essere bellissima: ha indossato un grande schermo e ha cancellato i suoi parcheggi per dare spazio alla gente. Gente di ogni colore, ogni lingua, ogni bandiera, ma con un'unica forte voce: quella dell'esultanza per i vincitori, e quella del "NOOOOOOO" urlato all'unisono di fronte all'immagine di un uomo azzurro rotolato sulla neve.
"Ci prendiamo un Mameli?" ha chiesto un cronista euforico alla fine di una gara e il cuore di Torino, piazza Castello e delle medaglie, ha cantato l'Inno tante volte: Fratelli d'Italia per davvero.
I sorrisi dei volontari in giacca blu, sparsi in ogni angolo, sono diventati famosi tanto quanto Torino, che non è in provincia di Milano, e i suoi gianduiotti.
I torinesi sono stati sempre in giro, persino di notte! E non soltanto dai venti ai trenta: notti bianche che "nemmeno San Giovanni e Capodanno insieme!"
In coda per i biglietti, per casa Canada, per il simulatore di bob, per la Mole, per il caffè e la pipì, ma con occhi nuovi, curiosi e divertiti, a scrutare quelli stranieri e abbozzare timide frasi: "Do you like Torino?" Perchè era quello "Yeah! It's great!" a starci a cuore.
Curling? Ma che è? E tutti pazzi per il curling! E per i pins attaccati su ogni giacca: "Would you like to change your pin?". E per la raclette di casa Svizzera!
Ci siamo scordarti l'aviaria mangiando pollo arrosto offerto nelle piazze e per un po' non abbiamo più sentito neanche se la faccia di Berlusconi si è vista in tv più di quella di Prodi, perchè noi la tv ce l'avevamo accesa su un unico canale a tutte le ore, casomai ci fossimo persi qualche gara, ad incrociare le dita, incitare e trattenere il fiato negli ultimi secondi (chissà se le ragazze dello short track sanno quanto abbiamo sudato dalle nostre poltrone e che le abbiamo abbracciate forte a quella centesima medaglia...!)
L'imponente regia atmosferica dev'essersi accordata con Castellani: Torino sotto il sole, poi il vento e la neve! Anche pioggia, ma non per l'ultima notte bianca, e ancora sole.
Sole per l'ultima giornata, per l'ultima strepitosa e inaspettata medaglia (d'oro!), per l'ultimo "Ciao Torino".
Adesso il cielo è buio e non c'è più quella grande fiamma a illuminarlo, ma la sua luce ci ha toccati. Ora mormoriamo appena un pensiero nuovo: "Speriamo che continui".